Testo critico della mostra "Non c'é Myra senza Vidal" di Geoffrey Di Giacomo

Ceci n’est pas un texte!
“Perché il messaggio di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani”. Marshall McLuhan
Manifestare un’immagine, un video, un’installazione, un testo, vuol dir condividere, trasmettere, comunicare un messaggio o la sensazione attingente all’idea veicolata in esso, non per forza nella misura di un momento definibile, ma che sia recepito in uno spazio-tempo qualunque. Il ricordo non esiste, tutto ciò che ricordiamo è parte di una condivisione stabilita per caso o per scelta, è la traccia fondamentale dell’intuizione nella manifestazione, nella minima somiglianza del concetto nella suddetta rappresentazione. Il messaggio viaggia quindi in un tempo-spazio non decifrabile, incalcolabile ed inafferrabile. Quando Impellizzeri decide di ripercorrere le attitudini che hanno contrassegnato gli anni 60, momento storico in cui la nuova visione della vita da parte delle masse cominciava a riflettere sulla propria immagine e stile di vita insorgendo con impronta reazionaria attiva, egli decide di stabilire un dialogo senza regole, confrontando il proibizionismo imposto mediante il canale di comunicazione pubblicitario caricato di effetti e di automatismi prestabiliti a tavolino, con quello della libertà di pensiero e all’anticonformismo legato a rigide consuetudini.
Impellizzeri ripercorre il flusso vitale che attraversa il pensiero di un periodo socialmente rivoluzionario, apparentemente lontano ma così a ridosso della nostra mnemonica visione, come direbbe Guy Debord siamo entrati in una realtà spettacolarizzata dove i rapporti tra le persone è mediato dalle immagini. L’artista performer analizza il percorso evolutivo dell’uomo contemporaneo basato su modelli sociali da seguire. All’interno dell’opera video Impellizzeri inserisce immagini del proprio corpo liberato, nudo, che si sovrappongono all’“esempio”: immagine del perbenismo della famiglia italiana ideale. Sempre con ludico modo di vedere o intravvedere gli aspetti della nostra società, egli designa un linguaggio personale, dove prende spazio la fatidica e illusoria idea di felicità commercializzata e impacchettata sotto forma di bagnoschiuma “vitalizzante”. Il concetto è chiaro, ben definito, il video si fa carico di una condizione legata a una trasformazione epocale con vedute di un sistema iconico industriale ora più che mai dominante.
L’omaggio a Gore Vidal è proprio nella realizzazione di un prodotto finito, dove Impellizzeri con il video “Non c’è Myra senza Vidal” identifica sin dal titolo stesso la necessaria negazione di un ruolo socialmente ripudiato. “Non c’è Myra senza Vidal”, potremmo dire “non c’è trasformazione senza consumismo, senza illusione, senza contaminazione per mano del progresso”. Perchè Vidal non è un semplice bagnoschiuma, ma incarna un fenomeno legato a un desiderio afferrabile e trascinabile nel quotidiano, l’oggetto del possesso a immagine e somiglianza è certamente a portata di mano. La trasformazione e mutazione corporale di Myra, non impedisce alla società di servirci sul piatto l’eterna idea del bello. 
Vidal controbatte la perfezione del consumismo collettivo con un testo rivoluzionario e in tendenza con il liberalismo mondialmente esploso in quegli anni. Quando Magritte mette in discussione il significato dato alle cose che vediamo o crediamo di vedere nelle riproduzioni, egli non fa altro che segnalare la potenzialità e il coinvolgimento del medium all’interno dell’immagine. E proprio Impellizzeri  ricompone uno spot pubblicitario superando il fine del concepimento di tale prodotto, in un sintetico e asciutto video d’artista. Proprio per ricongiungermi alla frase “Ceci n’est pas un texte”, e a tutta l’opera di Francesco Impellizzeri, invito il lettore a riflettere su ogni esposizione testuale di qualsiasi genere, dallo spot al tabellone pubblicitario, dalla fotografia all’installazione, dalla forma al contenuto. 
L’atto decisionale reazionario, tranciante e doloroso, presuppone una trasformazione a favore di nuove idee, stili e tempi, e ravvicina l’artista alla pura creazione e quindi l’uomo al raggiungimento di una vera consapevolezza esistenziale.  

Geoffrey Di Giacomo