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Una bimba rom gigante 

dove bruciarono campi nomadi

Ponticelli, il maxi-graffito di Jorit Agoch copre l’intera facciata di un palazzo di venti metri. L’arte supera il pogrom e i disordini di sette anni fa nel quartiere

di Alessandro Chetta








Il  colossale graffito sulla facciata di un palazzo in via Merola a PonticelliIl colossale graffito sulla facciata di un palazzo in via Merola a Ponticelli
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NAPOLI - Dopo la prima stesura del colore, quando mento, occhi e naso della ragazzina erano già delineati, c’era chi tra gli abitanti delle palazzine di via Merola, bisbigliava con sicurezza: «È in ricordo di una bambina morta». Non è così. A coprire l’intera facciata di un edificio del popolare complesso di Ponticelli è il volto di una piccola rom, più viva che mai. Se il leghista Salvini passa di qui gli viene un coccolone. Un colosso proprio lì, a Napoli est, dove sette anni fa bruciarono i campi nomadi. Murales enorme, anzi di più (20 metri d’altezza!) che arriva a riconciliare il quartiere della zona orientale col suo recente passato, e quei convulsi giorni di pogrom. «Con quest’opera abbiamo rotto uno schema» ha detto l’assessore comunale al Decoro urbano Ciro Borriello. Lo schema durissimo a morire del rom da scacciare. Infatti, titolo del dipinto è Ael. Tutt’ egual song’ e creature, i bambini sono tutti uguali, da una canzone di Enzo Avitabile («Ael», invece significa colei che guarda il cielo in lingua romanì). Ad impreziosirlo figurano una serie di libri, una matita e uno strummolo. per continuare a leggere clicca qui

Tutti i bambini delle periferie”, il murales di Jorit Agoch.


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Sospeso nel vuoto tra cielo e terra, per dare un volto bambino alle periferie di Napoli. Jorit Agoch, papà italiano e mamma olandese, è nato è cresciuto nella periferia di Napoli nord. Ha iniziato a dipingere a tredici anni con lo spray sui muri della sua città natale, Quarto e non ha più smesso, diventando uno dei più promettenti graffiti artist della scena italiana ed estera. È famoso per i suoi graffiti iperrealisti, ispirati a star del mondo hip-hop. Ma a Ponticelli ha deciso di dipingere il volto di un bambino: un bimbo per dipingere i tanti bambini che popolano le periferie e raccontare i loro sorrisi, i loro giochi, le loro storie. Un murales di dieci metri. L'intervento artistico, coordinato da Inward- Osservatorio sulla creatività urbana (che da anni promuove la street art), è inserito nel programma dell'Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri) ed è patrocinato dal Comune di Napoli. In via Aldo Merola, a Ponticelli, Jorit Agoch lavora con le sue bombolette, abbarbicato su un ponteggio mobile messo a disposizione dal Comune di Napoli. Il gruista, Michele, in genere lavora nei cantieri edili, ma per questa volta ha cambiato lavoro e segue, asseconda e dirige con la sua gru i movimenti di Jorit, grazie a una coppia di  walkie talkie. I residenti di via Merola, come la signora Mariella, che abita nel palazzo e segue i lavori dal balcone, hanno adottato l'artista e l'operaio, rifocillandoli con succhi di frutta freschi e panini. Per ultimare il graffito ci vorranno dieci giorni. Finito il lavoro Agoch partirà per New York (testo di cristina zagaria e foto di carmine luino

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Achille Bonito Oliva by Jorit AGOch


Rione Traiano, murales con volto di Achille Bonito Oliva

Prende quasi tutta la parete di un cavalcavia. Un murale che ritrae il volto di Achille Bonito Oliva, spicca al rione Traiano, sotto il ponte di via Cassiodoro. L'opera porta il tratto inconfondibile e la firma di Jorit Agoch, street artist italo-olandese, nato e cresciuto a Napoi. Il viso di Bonito Oliva, in primo piano, è disegnato nei minimi dettagli, con una qualità quasi fotografica. L'accuratezza è il marchio di qualità di questo giovane artista, già celebre in diverse città europee (ma ha anche esposto a New York e Sydney) per il suo stile. Studi in Accademia, vernice spray e pennelli, il muro diventa una tela da colorare. Proprio com'è avvenuto lo scorso ottobre, quando Jorit ha realizzato un volto perfetto di Eduardo De Filippo sulle saracinesche del teatro San Ferdinando. (paolo de luca, foto di Omninapoli)
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Jorit AGOch, talento, passione e grande sensibilità


JORIT




Jorit AGOch, talento, passione e grande sensibilità


ESCLUSIVA RM. Tanti hanno visto le sue opere (in via Segni a pochi passi dalla fermata “Quarto Centro” della Sepsa), alcuni le hanno “immortalate” in diverse foto che sono state postate su facebook. Numerosi sono i commenti positivi che hanno destato la nostra attenzione, curiosità sui graffiti che stanno colorando, rendendo più artistico, il nostro centro urbano e sul talento che li sta realizzando, il giovane Italo-Olandese Jorit. E’ considerato uno dei maggiori esponenti italiani di quest’arte.
Due tra i più influenti critici nazionali, Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi hanno espresso apprezzamenti sul suo operato, il quotidiano “La Repubblica” scrive che è: “Tra i più promettenti Graffiti Artist della Scena Italiana ed estera”. Jorit è unico in quanto realizza graffiti e opere su tela ad un livello tecnico molto elevato. A ciò abbina un messaggio etico altrettanto forte che lo ha accompagnato sin dall’inizio del suo percorso e che lo ha portato a concentrarsi esclusivamente sulla raffigurazione del volto umano. per continuare clicca 















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PABLO MESA CAPELLA E SERGIO CECCOTTI










LaStellina ArteContemporanea è lieta di annunciare che i due artisti presentati  nella
Stagione 2013/14 Pablo Mesa Capella e Sergio Ceccotti,  esporanno in spazi prestigiosi della capitale nel prossimo ottobre.   

Pablo Mesa Capella
nel novembre - dicembre 2013 ha  presentato  presso LaStellina   ArteContemporanea  Deus ex machina. Messa a punto e  sarà presente presso la  galleria  Emmeotto con la mostra Natura onirica. La memoria degli oggetti”  dal 9 ottobre  fino al 31 ottobre 2014.

 Sergio Ceccotti 
nel  marzo  -  aprile  2014 ha    presentato   presso     LaStellina ArteContemporanea  Capolinea 19 e sarà presente presso il Casino dei Principi di Villa Torlonia con la sua antologica “ La vita enigmistica” dal 21 ottobre fino all'11 gennaio 2015.


LaStellina ArteContemporanea ricorda Paul Russotto

A distanza di un anno dall'inaugurazione di G G Son of the South - Gianfranco Grosso Vs Paul Russotto, 
e a pochi mesi dalla scomparsa dell'artista americano.






Ciao Paul, siamo fieri di averti avuto tra i nostri artisti.

Articoli sulla scomparsa di Paul Russotto

http://www.oltrefreepress.com/2014/02/26/la-scomparsa-di-paul-russotto/

http://www.sassilive.it/cultura-e-spettacoli/arte-cultura-e-spettacoli/scomparso-paul-russotto-cordoglio-del-musma-di-matera/

http://www.mig-biblioteca.it/il-museo/10-il-mig/57-addio-a-paul-russotto

http://www.sassiland.com/eventi_matera/evento.asp?id=33837&t=inaugurazione_della_sala_personale_di_paul_russotto
  Intervista ad Edoardo Albinati su RAI Educational
clicca qui                 

“Italiani” – Intervista a Sonya Orfalian – di Francesca Bellino


Per la rubrica “Italiani” , fino ad oggi, abbiamo ascoltato le storie dei giovani italiani che hanno scelto di portare all’estero il loro talento e le loro professionalità. Questa rubrica è dedicata però anche a quelle donne e a quegli uomini che non sono nati in Italia ma che qui hanno deciso di rimanere. Cercando – come chi oggi lascia l’Italia – una possibilità di futuro.
Francesca Bellino, sulle pagine di Reportage n.12, ha intervistato alcuni scrittori stranieri che hanno scelto di vivere in Italia, chiedendo loro cosa vedono dopo la fine del “ventennio berlusconiano” e come giudicano il Paese oggi. “L’Italia è a un bivio decisivo“, ci dicono “o rinascita o fallimento“. Voci indipendenti da ascoltare con estrema attenzione, più di molti “esperti nostrani”.
Sonya Orfalian, tra gli intellettuali intervistati, ha accettato di raccontarci più in profondità la sua storia.
Sonya è nata in Libia ed è figlia della diaspora armena. Si definisce una viaggiatrice per destino. Il suo primo viaggio l’ha fatto a 11 anni quando è partita dalla Libia, dove ha trascorso l’infanzia da rifugiata, dopo il colpo di Stato di Gheddafi, ed è approdata a Roma dove, con la famiglia, ha trovato asilo. Sonya oggi è un’artista, una traduttrice e una scrittrice.
Intervista di Francesca Bellino.
Sonya, proviamo a sintetizzare la tua storia…
Clicca qui.

Articolo su Insideart di Teresa Buono | 10 gennaio 2012

Non c'è Myra senza Vidal -  Francesco Impellizzeri

 
La Whitecubealpigneto trasforma la propria veste per accogliere la seconda di una serie di esposizioni che omaggiano la carica eversiva di Gore Vidal. A cura di Geoffrey Di Giacomo, la mostra dell’eclettico Francesco Impellizzeri nasce dalle suggestioni e dalle riflessioni su un capolavoro della storia della letteratura come “Myra Breckinridge”.
clicca qui
http://www.insideart.eu/index.php?section=news&idNotizia=75635&idarea=49

Intervista a Nicole Voltan

NICOLE VOLTAN
Sistema Entropia



DOMANDA | In fisica l'entropia è una grandezza che viene interpretata come una misura del disordine (caos) presente in un sistema fisico, incluso l'universo. Per traslazione, nella comunicazione, l'entropia è il grado di disordine presente nella formulazione di un messaggio (quasi una sorta di perdita di energia comunicativa). Da cosa scaturisce la tua voglia di affrontare questo tema nel tuo progetto?

NICOLE VOLTAN | Comunicare significa confrontarsi, scambiare informazioni e conoscenze, significa "mantenere basso il livello d'entropia". Ma che succede se questo scambio viene a mancare? Se non c'è rinnovamento, crescita? Se è tutto ripetitivo, il principio secondo cui "nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma" non è più applicabile, ed ecco allora che il livello di entropia aumenta e l'energia presente in un sistema non può che diminuire. Questo avviene in fisica, in un sistema, come l'universo nella sua totalità, che è chiuso, cioè privo di comunicazione con l'esterno, ma avviene anche nel linguaggio, quando la comprensione del significato viene a mancare.
Quello che stupisce è che all'origine di tutto non c'è il disordine, com'è più facile credere, bensì l'ordine, il quale non può che evolvere nel tempo verso il disordine. E se la freccia temporale ci porta verso un sistema sempre più disordinato, che cosa comprenderemo un giorno della realtà? Saremmo ancora in grado di comunicare?


D. | Esponi in occasione di un festival che ha per tema “Motherland”. La prima cosa che mi viene in mente è che il tuo progetto sia intrinsecamente “entropico”. Ovvero: teoricamente ci si aspetta un lavoro che indaghi sulla propria terra di appartenenza, e quindi sulla “Terra” e tu invece inserisci, scardinando le nostre aspettative, otto pianeti. Mi viene allora da chiederti quale idea di Motherland hai voluto rappresentare...

N. V. | Motherland. terra madre, terra di appartenenza. Apparteniamo a un luogo? O a un sistema, quale – per esempio – il sistema solare? Come ogni cosa, dipende tutto dal punto di vista dell'osservatore. Possiamo affermare di appartenere al pianeta Terra o possiamo osservarci da un punto di vista "Macroscopico" e vedere l'insieme.


D. | All'interno del tuo lavoro hai inserito un gioco linguistico e un sistema di illuminazione particolare. A che scopo?

N. V. | Ci sono mille modi per spiegare l'entropia. Essendo "la misura della quantità di disordine presente in un sistema" ho voluto considerare il concetto sotto diversi aspetti, il linguaggio, l'immagine e la percezione. Per il linguaggio, quale miglior modo di un enigma? Tredici lettere e molte combinazioni tra esse, ma solo seguendo un predeterminato ordine si può giungere a una soluzione di senso compiuto, a un significato. Giungere al senso significa accettare un codice, conformarsi al linguaggio. Tutto il resto è disordine.
Per le immagini ho scelto di rappresentare due punti di vista. Da una parte il punto di vista della realtà così com'è, fotografando elementi del mondo naturale, come appare attraverso l'obbiettivo della macchina fotografica, dall’altra, la visione di una dimensione parallela, immaginaria e incomprensibile, riflessa e distorta, ricreata mediante l'uso di uno specchio convesso. L'immagine appare così frammentata in due mondi, in verità e finzione, in rappresentazione e interpretazione.
Per quanto riguarda la percezione, invece, mi sono ispirata al ciclo del giorno e della notte.
"E la notte fu il grembo potente delle rivelazioni" afferma Novalis negli Inni alla notte. Essa nasconde realtà invisibili alla luce e al tempo stesso rivela, ma è nello scambio tra il buio e la luce che avviene la trasformazione, il mutamento.
Interpretazione e rivelazione, significato e simbolo. Immagine e parola. Ordine e disordine. È il
gioco degli opposti a cui apparteniamo.

Intervista ad Olivier Delporte

Quando e come nasce l’artista Olivier Delporte?

Posso dire di aver respirato arte fin dalla mia infanzia. Ho cominciato a dipingere all’età di sei anni. Pochi anni più tardi è arrivata anche la passione per la scultura. I miei primi passi hanno seguito le orme di Michel Buquet.
A ventiquattro anni finalmente arriva la decisione di fare “sul serio”, di mettere l’arte al centro della mia vita. Per questo mi sono iscritto alla facoltà di arte di Amiens che per me si è rivelata un tesoro di insegnamenti. Lì ho imparato come prima cosa che l’arte è qualcosa che si può “imparare”. E non mi riferisco solo alle discipline artistiche o alle basi tecniche della creazione ma anche alla fase precedente ossia quella della concettualizzazione. Perché il lavoro artistico inizia ancora prima, nell’idea e nel pensiero. E si impara anche ad organizzare il pensiero, a strutturarlo.

Chi considera i suoi veri maestri?

Il primo nome è quello di Maider Fortune, la mia prima insegnante di arte video, colei dalla quale ho appreso le basi per il mio lavoro futuro. Poi quello di Francoise Parfait, una delle più conosciute e apprezzate teoriche dell’arte video.
Tra i grandi artisti del passato un modello sempre presente nelle mie realizzazioni è Vito Acconci, sia per il suo interesse all’uomo nello spazio sia per le influenze della cultura zen presenti in tutte le sue opere.

In seguito vengono Yves Klein, Gutai, Marina Abramovich, Dennis Oppenheim, le cui opere sono tutte incentrate sulla figura umana in movimento ed ancora Nam June Paik e Wolf Vostell, gli assoluti pionieri dell’arte video. E poi artisti di altre discipline, di altri mondi che non necessariamente appartengono all’arte contemporanea come Buster Keaton e più in generale, tutto il mondo del movimento per eccellenza, quello della danza, che è protagonista di molte mie realizzazioni.


Parliamo adesso di influenze di diversa natura. Lei spesso afferma che lo zen è spesso alla base delle sue opere. Come mette in rapporto una filosofia orientale, permeata di misticismo, con l’arte video, fatta di pixel, numerizzazioni, filtri dell’immagine?

Il rapporto sta innanzi tutto nel significato stesso del mio fare arte ossia nella ricerca, ricerca di quella dimensione profonda che certe dottrine occidentali chiamano verità, sapienza o fine ultimo, e che le orientali definiscono illuminazione, Buddhità, natura di Buddha. E’ comunque per tutte quell’esperienza improvvisa e profonda che consente la "visione della vera realtà delle cose". La filosofia zen la chiama Satori, (Comprensione della Realtà) concetto su cui fonda il proprio insegnamento. Ecco ciò che io cerco nelle mie video performance: il mio Satori, il mio punto ottimo. Questo spiega la presenza costante di elementi quali la luce abbagliante e improvvisa che si manifesta sottoforma di flash, l’acqua e il suono del suo scorrere, il gioco dei chiari e delle penombre.

E poi c’è un altro concetto fondamentale del buddismo zen che si percepisce chiaramente nelle mie realizzazioni, quello di ciclicità. L’idea dell’esistenza umana come un ciclo infinito di nascita e morte, come un susseguirsi di vite dopo vite che sta alla base della filosofia zen così come del buddismo in generale, si traduce nelle mie video performance come un riproporsi della stessa situazione, che è sempre una situazione di movimento, in contesti diversi. Nella “Chute” un uomo cade sette volte ma in sette luoghi diversi. L’azione che “accade” è la stessa ma è come se avvenisse in sette vite diverse.


Lo zen è indubbiamente permeato di uno spiritualismo straordinario ma è anche una dottrina di un rigore e di una disciplina estreme. Penso per esempio ad alcune sue manifestazioni come ad al judo che pure fa parte del mio bagaglio passato. Nel judo ogni movimento è codificato. Non c’è possibilità di modifica o di interpretazione. È un po’ come nella danza dove ogni movimento viene, secondo un termine francese che non ha equivalente in italiano, “notifié” (qualcosa simile appunto a codificare, fissare nello spazio).


Uno dei fondamenti del judo insegna che il nostro corpo nasce in equilibrio, in perfetta armonia con l’equilibrio universale, ma che ogni movimento che facciamo, anche i più naturali come camminare o correre, rompono quest’equilibrio portando ad un disequilibrio o ad uno squilibrio che ha come conseguenza estrema la caduta. Ogni movimento del corpo umano porta ad una di queste condizioni che si alternano ciclicamente. Anche la caduta fa parte di questo ciclo. Il judo moderno interpreta la caduta (ukemi) come parte integrante del combattimento In realtà si tratta di una vera e propria tecnica per permettere al corpo di scaricare l'energia cinetica accumulata durante la proiezione. Non è arresto, fine, morte ma continuazione.


Credo sia consapevole di fare un genere artistico, quale quello dell’arte video, per certi aspetti ancora poco compreso e apprezzato a livello del grande pubblico. Come vede la video art nel futuro?

Credo che tra venti o trent’anni non solo il pubblico di massa ma anche i collezionisti si interesseranno all’arte video, acquisteranno opere di art video, esattamente come i mecenati del Rinascimento facevano qualche secolo fa con le opere di pittura o di scultura.

Concettualmente l’Arte video è come una pittura o una scultura, non c’è differenza. Pensiamo ad un’immagine video, ad esempio. E la riproposizione di un’immagine, proprio come un dipinto. L’unica differenza è che si tratta di un’immagine in movimento. E questo porta a considerare come parte integrante dell’opera anche le attività precedenti al suo compimento come la fase della ripresa del soggetto e quella, successiva, della creazione del video al computer. Quando registro un’immagine sulla mia videocamera questa diventa un prolungamento del mio corpo, proprio come il pennello nella mani del pittore rinascimentale.


Mi piace pensare che la video art sarà la forma d’arte del futuro. E’ una forma d’arte del tutto rivoluzionaria. Il concetto di utilizzare simboli di una società allo scopo di criticare la società stessa non è cosa nuova, come la pop art stessa ci insegna. Ma la video art va oltre. Utilizza i simboli del nuovo millennio, ossia le tecnologie avanzate, ma cambiando completamente di segno al loro significato. In una società quale quella attuale dove le nuove tecnologie sono delle serve della velocità, la aiutano e la implementano, la video art le utilizza per scomporre il movimento, allo scopo di studiarlo, di analizzarlo e, ove necessario, anche rallentarlo.

Whitecubealpigneto: un nuovo spazio al servizio dell'arte

La galleria “Whitecubealpigneto” già dal nome ci fa intuire gli elementi essenziali della sua natura: l’idea del cubo bianco di cui si fa promotrice rende possibile trasportare nello spazio la percezione dell’opera . La galleria in continuità con la storia desidera riprendere questo concetto e si offre come un involucro ideale per le opere. Lo spazio asettico e privo di orpelli fa sì che esse possano diffondere ed esprimere nello spazio il proprio significato e lo spettatore allo stesso tempo è in grado di comprendere il percorso dell’artista indirizzato dal metodo allestitivo non invasivo, attivando un dialogo tra l’opera, lo spettatore e l’artista.


(articolo del giorno 02.12.2009)